Renaud: Pacifista (non pacificato)

A rivista anarchica

anno 35 n. 310
estate 2005

canzone d’autore

a cura di Alessio Lega

Renaud
3: Pacifista (non pacificato)

Il Renaud degli anni 80 inoltrati è ormai una star della canzone. L’avvenenza fisica e la mitologia del ribelle, che si è assunto, lo portano sulle copertine dei rotocalchi e sui poster nelle camerette degli (e soprattutto delle) adolescenti francesi.

Intorno a lui sta crescendo una forma di rock francese originale che caratterizzerà alcuni grandi artisti degli anni ’80, quali Bernard Lavilliers, Charlelie Coture e, soprattutto, Jacques Higelin e il geniale Alain Bashung. Il nostro, cresciuto a pane e Brassens, non ha il background etno, jazz, sperimentale o prog-rock di questi, ma sente comunque l’esigenza di conferire un’appetibilità pop ai suoi temi rivoltosi. Di qui verrà l’accusa, non del tutto falsa, di non essere né carne né pesce, di fare un rock di retroguardia ben poco inquietante sul piano formale, in contrapposizione alla rivoluzione così spesso invocata nei testi.

Morgane de toi (1983) non fatica a conquistare la top ten e a rimanerci saldamente.

Si tratta del disco che marca un passaggio nello stile dell’autore; sin dall’immagine di copertina lo vediamo, nel ruolo di padre (felicissimo di esserlo), inaugurare un nuovo filone tematico nelle sue canzoni: l’interlocutore privilegiato diventa d’ora in poi la figlia Lolita (l’ha chiamata proprio così!) e questo per Renaud, così intimamente adolescenziale di suo, è un vero colpo di genio. Nella mia testa continuo ad avere quattordici anni, non ha mai smesso di dire e, aggiungiamo noi, pur essendo un artista che sente forte i temi sociali, è di natura timidissimo e introverso; l’alter ego ideale per sviluppare un dialogo che negli anni affronterà parecchie questioni da un angolo visuale insolito diventa proprio la sua bambina.

Questo rapporto è improntato a una serie di dolci contraddizioni: la necessità di proteggere assieme a quella di non soffocare, il voler trasmettere una morale, ma una morale intrisa di passione libertaria, il mettere in guardia dalla bruttura del mondo senza rinunciare a sporcarsi le mani tentando di migliorarlo; tutto questo darà lo spunto a canzoni che rappresentano alcuni momenti incantati: Morgane de toiIl pleutLe marchand des caillouxC’est pas du pipeauLolito LolitaMon amoureux.

Per tornare all’album, va rimarcata la maggiore levigatezza ed equilibrio nei suoni: è infatti registrato in America, in uno degli studi più famosi del mondo.

Si apre con una canzone in perfetto stile Chansons des marines (una delle forme di canto tradizionale più peculiari in Francia e Gran Bretagna): canzone in stile, certo, ma non con intenti parodistici, vi si respira una bella aria eroica “finché il vento soffierà / io ripartirò…”.

Il secondo brano, Deuxieme generation, è la descrizione della squallida vita di un immigrato di seconda generazione, la storia di qualcuno che, come dice Renaud presentando la canzone in concerto, a furia di fare una vita da cani è costretto a diventare lupo. Slimane (questo il suo nome) è ancora una volta un adolescente, cui viene negata dai fatti e dall’ambiente ogni possibilità di realizzazione, e che vive allo sbando in una cupa, ripetitiva rovina

non ho niente da vincere, niente da perdere / nemmeno la vita
non amo che la morte in questa vita di merda / amo ciò che è marcio, ciò che è rotto
amo ciò che vi fa paura / il dolore e la notte

Ancora una composizione asciutta, con una bella dose d’ironia nera e di rispetto per la vita, che anche in mezzo al fango trova i suoi codici di poesia; una grandiosa riflessione sullo straniero, nato in terra straniera – appunto, la seconda generazione del titolo – che non può nemmeno conservare un rapporto con una radice a cui non è mai stato congiunto, e per questo sente la struggente nostalgia del non provato, come l’uccellino nato in gabbia che sogna un cielo mai conosciuto

pare che a tremila miglia / da questa città ci sia un paese
in cui non andrò senz’altro mai / dove sarei comunque straniero.
Allora per sentirmi appartenere / a un popolo, a una patria
porto attorno al collo sul giubbotto / la kefia nera, bianca e grigia
mi sono inventato dei fratelli / dei compagni che crepano
come me.

C’è poi la canzone Deserteur, mezzo omaggio mezza parodia del capolavoro di Boris Vian; strutturata, come quella, in forma epistolare, in risposta alla fatidica cartolina di chiamata. Il testo è a più livelli demistificante, anzitutto per il protagonista che, decisamente meno eroico del suo nobile predecessore, si è imboscato per evitare il servizio militare in una fattoria in Ardeche, e vive fabbricando collanine e coltivando erba con un gruppo di alternativi, e quando

i russi o gli americani / faranno saltare il pianeta
io avrò la mia aria furba / sulla bicicletta

Ma non per questo vien meno l’avversione, diremmo quasi fisica, ai militari:

sono stupidi sono brutti /e soprattutto sono cattivi
perciò non vorrò mai / essere uno di loro

Demistificante anche la conclusione: un invito a cena al presidente per fumarsi una canna e parlare con tranquillità della questione; quest’offerta distensiva non è solo una trovata comica, il presidente della repubblica francese è in quel momento Mitterand, uomo nel quale, come vedremo, Renaud, pur restando su posizioni ben più estreme, ripone una grande stima. Il resto dell’album ripiega sull’intimismo trattando con sensibilità il tema della compagna incinta (En cloque), o con un irresistibile mix di tenerezza e buffoneria il rapporto con la figlia (Morgane de toi); il tono generale è comunque meno aggressivo, e lo sfondo non è più ristretto alla sola periferia popolata di delinquenti: fino alla nascita Lolita il mio interesse era puntato esclusivamente su chi viveva male, dopo si è allargato a chiunque viva.

Mistral gagnant (1985) è a tutt’oggi il più grande successo commerciale di Renaud, per quanto il suo ultimo disco in studio, “Boucan d’enfer”, del 2002, ne abbia quasi (del tutto a sorpresa) bissato l’esito.
Buona sintesi delle sue anime, con una veste sonora curata e nell’aria del tempo, è considerato dallo stesso autore, me lo ha confidato nel 2001, il proprio capolavoro.

Effettivamente l’alternanza e la sovrapposizione di violenza e tenerezza, politico e personale, ridanciano ed emotivo, giungono qui a uno dei suoi migliori momenti di equilibrio.

Già l’apertura è travolgente: Miss Maggie è una poetica dichiarazione d’infinito amore per l’altro sesso

Donne di mondo / o puttane, che spesso siete le stesse
donne normali stars o qualunque / donnine, comunque io vi amo
anche all’ultima fichetta / dedico questi quattro versi
usciti dal mio disgusto degli uomini / e della loro morale guerriera
perché nessuna donna sulla terra / sarà mai peggiore del fratello
né più tronfia né più disonesta / a parte…

E qui si giunge al dunque:

a parte ovviamente “Madame Thatcher”.

E così continua la canzone: cento sono le ragioni per preferire le donne agli uomini, tutte le donne, tranne l’ignominiosa primo ministro inglese. La donna la si ama

per la sua debolezza / e i suoi occhi
mentre la forza dell’uomo non sta / che nella pistola e nel cazzo.
Perché non morirà sul fronte / perché la vista di un’arma da fuoco
non le fa fremere le ovaie. / Perché con un motore sotto il culo
non diventa stronza / come il povero tarato che si scazzotta
per un faro un po’ ammaccato / o per un dito teso
e c’è chi arriva a sparare / per difendere l’autoradio.
Perché palestinesi e armene / testimoniano dal fondo delle fosse comuni
che il genocidio è di genere maschile / come un SS o come un torero
E quando arriverà l’ultima ora / l’inferno sarà popolato di cretini
che giocano a pallone o alla guerra / Io vorrò diventare cane /
se posso restare sulla terra / e come lampione quotidiano / mi offrirò Madame Thatcher.

La musica ha uno squisito sapore pop e danzante, e, a un primo disattento ascolto, fa passare questo testo di canagliesca rivolta per una ballata di innocua gradevolezza.

Renaud

Molti altri, quasi tutti per la verità, gli episodi degni di nota: da Trois matelot (tre marinai) a P’tite conne, altra significativa riflessione sulla tossicodipendenza, questa volta, al contrario de la blanche, in un ambiente alto

frequentavi un mondo / d’imbecilli mondani
in cui questa polvere immonda / si consuma al mattino
in cui i soldi autorizzano / a credersi al riparo
del tribunale / e del nostro disprezzo

ma, pure stavolta, la tenerezza prenderà il sopravvento sul disprezzo

piccola cogliona / sù vai a riposare
vicino a Jim Morrison / e non lontano da me

Il disco si conclude sulla potente Fatigué, testimonianza dei momenti di stanchezza di chi cerca qualche traccia d’amore in quest’oceano di fango, in cui tutto, dall’ambiente, al lavoro, alla cultura, sembra scivolare irresistibilmente verso il peggio. Il pezzo che mi dà sempre più brividi è Morts les enfants, dove a uno straziante catalogo di bambini assassinati occultamente o all’aperto (dai bambini che succhiano lo straccio intriso di benzina per farsi passare la fame a Bogotà, alle vittime dell’industria di Bopale o di Seveso, ecc…) dal nostro sistema sociale, fa contrappunto un ballo in un qualche ministero del mondo in cui imbecilli e militari / si spartiscono la terra, e, nel momento in cui il cantante, della cui sensibilità nei confronti dell’infanzia abbiamo già parlato, arriverà a riconoscere assassinato anche il bambino che portava dentro il cuore, la canzone esplode in una minacciosa e liberatoria scena di un ballo sul ministero distrutto da un attentato giustiziere. Il ritmo di valzer campestre, in leggero crescendo, crea, man mano che la dolorosa evocazione del massacro planetario dei bambini si accumula, un effetto di straniamento che moltiplica il potenziale commovente ed eversivo del pezzo.

L’album successivo Putain de camion (1988) non approfondisce discorsi sociali, anzi le canzoni su questi temi tendono ad essere un po’ ripetitive (Triviale poursuite); la più interessante Socialiste è una divertita parodia di una fervente riformista incontrata a una manifestazione che discuteva seria, seria con la polizia mentre lui si era fatto male scagliando una pietra; il confronto non è facile e si concluderà con nessun punto in comune, ma qui Renaud si professa per la prima volta nientista / anarco-mitterandista / non so se esista / ma mi eccita. La stima per il presidente è, ripetiamo, strettamente personale, il resto della classe dirigente è trattata da approfittatrice, ladra ed ambigua

come vuoi cambiar la vita / se ti affanni per il tuo profitto.

Gli altri episodi interessanti sono quelli intimisti (il pleutme jette pas) e una bella rievocazione e difesa della vecchia Parigi popolare, Rouge gorge, sempre più minacciata dalla speculazione edilizia che fa del centro il luogo del commercio e del turismo, per confinare i lavoratori in Banlieu.

L’enorme successo delle vendite porta Renaud a riempire per alcune sere di seguito l’immensa sala dello Zenith, totalizzando 180.000 spettatori. Anche di questo concerto vi è testimonianza registrata (e anche filmata), che però risulta molto meno interessante delle precedenti: gli arrangiamenti si avvicinano a quelli dell’ultimo disco, ma il suono cristallino non riesce in quello spazio a conservare il mordente; inoltre, le esigenze spettacolari di un luogo con tanti spettatori tolgono centralità alle canzoni a favore di noiosissimi dialoghi con un gruppetto di spalle comiche, che puzza talmente di provato e riprovato da risultare perfettamente stantio anche al primo ascolto. Si salvano i pezzi più ritmati, ma anche un’ispirata versione di Mistral gagnant, pianoforte e voce, breve dialogo col se stesso bambino, rievocazione del piccolo universo di consuetudini e affetti che forse è inevitabile perdere, ma che è importante non tradire.

Alessio Lega
alessio.lega@fastwebnet.it

La prima parte di questo articolo è apparsa nel numero 308 della rivista (maggio 2005), la seconda parte nel numero scorso, il 309 (giugno 2005).


Traduction française par Google

Renaud : Pacifiste (non pacifié)

Un magazine anarchiste

Année 35, n° 310
Été 2005

Chanson d’auteur

Par Alessio Lega

Renaud
3 : Pacifiste (non pacifié)

Le Renaud de la fin des années 80 est aujourd’hui une star de la chanson. L’attrait physique et la mythologie du rebelle, qu’il a embauché, l’amènent à faire la couverture des magazines et des affiches dans les chambres des adolescents français (et surtout).

Autour de lui se développe une forme originale de rock français qui caractérisera certains grands artistes des années 80, tels que Bernard Lavilliers, Charlèlie Coture et, surtout, Jacques Higelin et le brillant Alain Bashung. Le nôtre, élevé au pain et à Brassens, n’a pas le fond ethno, jazz, expérimental ou prog-rock de ceux-ci, mais il ressent tout de même le besoin de donner un attrait pop à ses thèmes rebelles. D’où l’accusation, pas tout à fait fausse, de n’être ni viande ni poisson, de faire basculer l’arrière-garde qui n’est pas très dérangeante sur le plan formel, en contraste avec la révolution si souvent invoquée dans les paroles.

Morgane de toi (1983) n’a pas eu de mal à conquérir le top dix et à s’y maintenir fermement.

C’est le récit qui marque un passage dans le style de l’auteur. Dès la pochette, on le voit, dans le rôle de père (très heureux d’en être un), inaugurer un nouveau fil thématique dans ses chansons : l’interlocuteur privilégié devient désormais sa fille Lolita (il l’a appelée comme ça !) et cela pour Renaud, si intimement adolescent à part entière, est un véritable coup de génie. Dans ma tête j’ai encore quatorze ans, il n’a jamais cessé de dire et, ajoutons-nous, bien qu’il soit un artiste qui se soucie fortement des questions sociales, il est par nature très timide et introverti. L’alter ego idéal pour développer un dialogue qui, au fil des ans, abordera de nombreuses questions d’un point de vue inhabituel devient sa petite fille.

Cette relation est marquée par une série de douces contradictions : le besoin de protéger avec le besoin de ne pas étouffer, le désir de transmettre une morale, mais une morale imprégnée de passion libertaire, la mise en garde contre la laideur du monde sans renoncer à se salir les mains en essayant de l’améliorer ; Tout cela donnera lieu à des chansons qui représentent des moments enchantés : Morgane de toiIl pleutLe marchand des caillouxC’est pas du pipeauLolito LolitaMon amoureux.

Pour en revenir à l’album, il faut noter la plus grande douceur et l’équilibre des sons : il est en effet enregistré en Amérique, dans l’un des studios les plus célèbres au monde.

Il s’ouvre sur une chanson dans le parfait style des Chansons de marins (l’une des formes les plus particulières du chant traditionnel en France et en Grande-Bretagne) : une chanson dans le style, certes, mais sans intention parodique, il y a un bel air héroïque « Dès que le vent soufflera / Je partira… ».

Le deuxième morceau, Deuxième génération, est la description de la vie sordide d’un immigrant de deuxième génération, l’histoire de quelqu’un qui, comme le dit Renaud en présentant la chanson en concert, est forcé de devenir un loup à force de vivre une vie de chien. Slimane (c’est son nom) est à nouveau un adolescent, privé de toute possibilité d’épanouissement par les faits et l’environnement, et qui vit dans le désarroi dans une ruine lugubre et répétitive :

J’ai rien à gagner, rien à perdre / Même pas la vie
J’aime que la mort dans cette vie d’merde / J’aime c’qu’est cassé / J’aime c’qu’est détruit
J’aime surtout tout c’qui vous fait peur /La douleur et la nuit.

Une autre composition sèche, avec une bonne dose d’ironie noire et de respect de la vie, qui même dans la boue trouve ses codes poétiques. Une réflexion grandiose sur l’étranger, né dans un pays étranger – en fait, la deuxième génération du titre – qui ne peut même pas entretenir une relation avec une racine à laquelle il n’a jamais été attaché, et pour cette raison il ressent la nostalgie poignante de l’inexpérimenté, comme l’oiseau né dans une cage qui rêve d’un ciel jamais connu :

Des fois, j’me dis qu’à 3000 bornes de ma cité, y’a un pays
Que j’connaîtrai sûr’ment jamais, qu’là-bas non plus, je s’rai personne
Alors, pour m’sentir appartenir à un peuple, à une patrie
J’porte autour de mon cou sur mon cuir le keffieh noir et blanc et gris
Je m’suis inventé des frangins, des amis qui crèvent aussi

Ensuite, il y a la chanson Déserteur, mi-hommage mi-parodie du chef-d’œuvre de Boris Vian. Structuré, comme celui-ci, sous forme épistolaire, en réponse à la carte de visite fatidique. Le texte est démystifiant à plusieurs niveaux, tout d’abord pour le protagoniste qui, décidément moins héroïque que son noble prédécesseur, s’est pris en embuscade pour éviter le service militaire dans une ferme en Ardèche, et vit en fabriquant des colliers et en cultivant de l’herbe avec un groupe d’alternatives, et quand :

Quand les russes, les ricains / F’ront péter la planète
Moi, j’aurai l’air malin / Avec ma bicyclette

Mais cela ne signifie pas que l’aversion, nous dirions presque physique, pour l’armée est diminuée :

Y sont nuls, y sont moches / Et pi, ils sont teigneux
Maint’nant j’vais t’dire pourquoi / J’veux jamais être comme eux.

La conclusion est également démystifiante : une invitation à dîner pour que le président fume un joint et parle calmement de la question. Cette offre de détente n’est pas qu’un gadget comique, le président de la République est français à ce moment-là Mitterrand, un homme auquel, comme nous le verrons, Renaud, tout en restant sur des positions beaucoup plus extrêmes, accorde une grande estime. Le reste de l’album retombe dans l’intimité, traitant avec sensibilité le thème de la partenaire enceinte (En cloque), ou avec un irrésistible mélange de tendresse et de bouffonnerie la relation avec la fille (Morgane de toi). Cependant, le ton général est moins agressif, et l’arrière-plan ne se limite plus aux banlieues peuplées de délinquants : jusqu’à la naissance de Lolita, mon intérêt s’est concentré exclusivement sur ceux qui vivaient mal, puis il s’est étendu à tous ceux qui vivent.

Mistral gagnant (1985) est le plus grand succès commercial de Renaud à ce jour, bien que son dernier album studio, « Boucan d’enfer », de 2002, ait presque (assez étonnamment) répété le résultat.

Une bonne synthèse de ses âmes, avec un son bien entretenu et dans l’air du temps, il est considéré par l’auteur lui-même, il me l’a confié en 2001, son propre chef-d’œuvre.

En effet, l’alternance et le chevauchement de la violence et de la tendresse, du politique et du personnel, du rire et de l’émotion, atteignent ici l’un de ses meilleurs moments d’équilibre.

Déjà l’ouverture est bouleversante : Miss Maggie est une déclaration poétique d’amour infini pour le sexe opposé :

Femmes du monde ou bien putains, qui, bien souvent, êtes les mêmes
Femmes normales, stars ou boudins. femelles en tout genre, je vous aime
Même à la dernière des connes, je veux dédier ces quelques vers

Issus de mon dégoût des hommes et de leur morale guerrière
Car aucune femme sur la planète, n’s’ra jamais plus con que son frère

Ni plus fière ni plus malhonnête. à part, peut-être…

Et nous en arrivons ici au fait :

à part, bien sûr, « Madame Thatcher »

Et ainsi la chanson continue : il y a cent raisons de préférer les femmes aux hommes, toutes les femmes, sauf l’ignominieux Premier ministre britannique. Vous aimez une femme :

Femme je t’aime, surtout, enfin pour ta faiblesse et pour tes yeux
Quand la force de l’homme ne tient que dans son flingue ou dans sa queue
Parce’ que la vue d’une arme à feu fait pas frissonner tes ovaires
Pour un phare un peu amoché ou pour un doigt tendu bien haut
Y’en a qui vont jusqu’à flinguer pour sauver leur autoradio
Palestiniens et Arméniens témoignent du fond de leurs tombeaux
Qu’un génocide c’est masculin comme un SS, un torero
Et quand viendra l’heure dernière, l’enfer s’ra peuplé de crétins
Jouant au foot ou à la guerre, à celui qui pisse le plus loin
Moi je me changerai en chien si je peux rester la Terre
Et comme réverbère quotidien, je m’offrirai Madame Thatcher

La musique a une saveur pop et dansante exquise, et, à l’écoute négligente, elle fait passer ces paroles de révolte voyou pour une ballade d’un plaisir inoffensif.

Renaud

Il y a beaucoup d’autres épisodes, presque tous dignes d’être mentionnés : de Trois matelot à P’tite conne, une autre réflexion significative sur la toxicomanie, cette fois-ci, contrairement à la blanche, dans un environnement élevé :

Tu fréquentais un monde / d’imbéciles mondains
Où cette poudre immonde / se consomme au matin
Où le fric autorise / à se croire à l’abri
Et de la cour d’assises / et de notre mépris

Mais, une fois de plus, la tendresse l’emportera sur le mépris :

P’tite conne / allez, repose-toi
Tout près de Morrison / et pas trop loin de moi

L’album se termine sur le puissant Fatigué, témoignage des moments de fatigue de ceux qui cherchent quelque trace d’amour dans cet océan de boue, dans lequel tout, de l’environnement, au travail, à la culture, semble glisser irrésistiblement vers le pire. La chanson qui me donne le plus de frissons est Morts les enfants, où un catalogue poignant d’enfants assassinés secrètement ou à l’air libre (des enfants qui sucent le chiffon imbibé d’essence parce qu’ils ont faim à Bogotá, aux victimes de l’industrie de Bopale ou de Seveso, etc…), de notre système social, une danse dans un ministère du monde dans laquelle les imbéciles et les soldats / divisent la terre est contrepointée, et, au moment où le chanteur, dont nous avons déjà parlé de la sensibilité à l’enfance, en viendra à reconnaître assassiné même l’enfant qu’il portait dans son cœur, la chanson explose en une scène menaçante et libératrice d’une danse sur le ministère détruit par une tentative d’assassinat. Le rythme de la valse champêtre, dans un léger crescendo, crée, au fur et à mesure que s’accumule l’évocation douloureuse du massacre planétaire des enfants, un effet d’aliénation qui décuple le potentiel émouvant et subversif de la pièce.

L’album suivant, Putain de camion (1988), ne plonge pas dans les discours sociaux. En effet, les chansons sur ces thèmes ont tendance à être un peu répétitives (Triviale poursuite). La plus intéressante, Socialiste, est une parodie amusante d’un fervent réformiste rencontré lors d’une manifestation qui se disputait sérieusement avec la police alors qu’il s’était blessé en jetant une pierre ; la comparaison n’est pas facile et se terminera sans point commun, mais ici Renaud se déclare pour la première fois rien-du-toutiste / anarcho-mitterrandiste / je ne sais pas s’il existe / mais ça m’excite. L’estime pour le président est, nous le répétons, strictement personnelle, le reste de la classe dirigeante est traité comme des profiteurs, des voleurs et des ambivalents :

Comment tu veux changer la vie / Si tu balises pour ton bien

Les autres pièces intéressantes sont les chansons intimes (Il pleut, Me jette pas) et une belle reconstitution et défense de l’ancien Paris ouvrier, Rouge Gorge, de plus en plus menacé par la spéculation immobilière qui fait du centre le lieu du commerce et du tourisme, pour confiner les travailleurs à la banlieue.

L’énorme succès des ventes amène Renaud à remplir l’immense salle du Zénith pendant quelques soirs d’affilée, totalisant 180 000 spectateurs. Il existe également des preuves enregistrées (et filmées) de ce concert, mais elles sont beaucoup moins intéressantes que les précédentes : les arrangements sont proches de ceux du dernier album, mais le son cristallin ne parvient pas à préserver le mordant dans cet espace. De plus, les besoins spectaculaires d’un lieu avec autant de spectateurs enlèvent la centralité des chansons au profit de dialogues ennuyeux avec un groupe d’acolytes comiques, qui sent tellement répété et répété qu’il est parfaitement périmé même à la première écoute. Les pièces les plus rythmées sont conservées, mais aussi une version inspirée de Mistral gagnant, piano et voix, un bref dialogue avec son moi enfant, une reconstitution du petit univers d’habitudes et d’affections qu’il est peut-être inévitable de perdre, mais qu’il est important de ne pas trahir.

Alessio Lega
alessio.lega@fastwebnet.it

La première partie de cet article est parue dans le numéro 308 du magazine (mai 2005), la deuxième partie dans le dernier numéro, le numéro 309 (juin 2005).

  

Source : Arivista anarchica