Il periodo 1983-1988
lunedì 28 luglio 2003, di Alessio Lega
La seconda parte dello studio monografico di Alessio Lega su Renaud. La prima è qui e iniziava così:
« In oltre 25 anni (considerando la data d’incisione del suo primo LP), una delle figure piu’ interessanti, per quanto a volte controversa e contraddittoria, della canzone poetica francese caratterizzata da una centralità delle tematiche sociali e di rivolta (se pensiamo alla generazione precedente ci vengono in mente i nomi universalmente noti di Brassens, Brel e Ferré), è senza alcun dubbio Renaud Sechan, noto semplicemente come Renaud. »
Di Alessio Lega, cantautore e storico della canzone, qualcosa avevamo già detto. Qui trovate una bella intervista fattagli da Sara Visentin. (lf)
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PACIFISTA (NON PACIFICATO)
Morgane de toi (« innamorato di te » 1983) non fatica a conquistare le TOP TEN e a rimanerci saldamente. Si tratta del disco che marca un passaggio nello stile dell’autore; innanzi tutto sin dall’immagine di copertina egli si assume il ruolo di padre felicissimo di esserlo, innaugurando un nuovo filone nelle sue canzoni: uno degli interlocutori privilegiati diventa appunto, d’ora in poi, la figlia Lolita (l’ha chiamata proprio così!), e questo, per lo stile di Renaud, che conserva sempre al suo interno un ché d’adolescenziale, è un vero colpo di genio: per chi ha sempre affermato « nella mia testa continuo ad avere quattordici anni », e, aggiungiamo, pur essendo un artista che sente forte il bisogno del rapporto con i temi sociali, è di natura timido, introverso e poco incline ai mischiamenti, l’alter ego ideale per sviluppare un dialogo che negli anni affronterà parecchie questioni da un angolo visuale insolito, è proprio un bambino; questo rapporto (ovviamente stiamo parlando di ciò che emerge dalle canzoni, nulla sapendo della vita privata dell’artista) è improntato a una serie di dolci contraddizioni: la necessità di proteggere e quella di non soffocare, il voler trasmettere una morale, ma una morale intrisa di passione libertaria, di rispetto per il diverso, di comprensione, l’additare la bruttura del mondo, e l’irrinunciabilità di sporcarcisi le mani; tutto questo darà lo spunto a una serie di canzoni che, da questo momento in poi, rappresenteranno alcuni dei momenti migliori di Renaud: Morgane de toi, Il pleut, Le marchand des cailloux, C’est pas du pipeau, Lolito Lolita, Mon amoureux, fino all’ancora inedita Marilou à vu le Loup.
Per tornare all’album di cui abbiamo cominciato a parlare, va innanzitutto rimarcato che ci troviamo ad avere a che fare con un’opera estremamente più levigata ed equilibrata – nei suoni come nei contenuti – dei precedenti; e infatti è registrato in America, in uno dei più famosi studi del mondo. Si apre con una canzone in perfetto stile Chansons des marines (i tradizionali canti dei marinai di Bretagna), canzone « in stile » ma non certo con intenti parodistici; al di là di qualche puntatina ironica, infatti, vi si respira una bella aria eroica (« …finchè il vento soffierà/io ripartirò… »).
Il secondo brano Deuxieme generation mette a segno con perfezione la descrizione della squallida vita di un immigrato di seconda generazione, la storia di qualcuno che (come dice Renaud presentando la canzone in concerto) « a furia di fare una vita da cani è costretto a diventare lupo ». Slimane è, ancora una volta, un adolescente a cui viene negata dai fatti e dall’ambiente ogni possibilità di realizzazione, e che vive allo sbando in una cupa, ripetitiva rovina (« …non ho niente da vincere, niente da perdere/nemmeno la vita/non amo che la morte in questa vita di merda/amo ciò che è marcio, ciò che è rotto/amo ciò che vi fa paura/il dolore e la notte.. »); ancora una composizione asciutta con una bella dose d’ironia nera e di rispetto per la vita, che, anche in mezzo al fango, trova i suoi codici di poesia. Inoltre una grandiosa riflessione sullo straniero, figlio di stranieri, nato in terra straniera -appunto la seconda generazione del titolo- che non può nemmeno conservare un rapporto con una radice a cui non è mai stato congiunto, e per questo sente la struggente nostalgia del non provato come l’uccellino nato in gabbia che sogna il cielo
« …pare che a tremila miglia
da questa città c’è un paese
in cui non andrò senz’altro mai
…
dove sarei comunque straniero.
Allora per sentirmi appartenere
a un popolo, a una patria
porto attorno al collo sul giubotto
la kefia nera, bianca e grigia
mi sono inventato dei fratelli
dei compagni che crepano come me… »
Ancora una menzione per Deserteur, mezzo omaggio, mezza parodia della famosissima canzone-capolavoro di Boris Vian; strutturata, come quella, in forma di risposta epistolare alla fatidica cartolina di chiamata, il testo è a più livelli demistificante: per il protagonista che, decisamente meno eroico del suo nobile predecessore, si è ritirato, per evitare il servizio militare, in una fattoria in Ardeche, e vive fabbricando collanine e coltivando erba con un gruppo di « alternativi », e quando « …i russi o gli americani/faranno saltare il pianeta/io avrò la mia aria furba /sulla bicicletta… », ma non per questo vien meno l’avversione, diremmo quasi fisica, ai militari (« …sono stupidi/sono brutti/e sopratutto sono cattivi/perciò non vorrò mai/ essere uno come loro… »), demistificante, poi, anche la conclusione: un invito a cena al presidente per fumarsi una canna e parlare con tranquillità della questione; quest’offerta distensiva non è solo una trovata comica. Il presidente della repubblica francese è, in quel momento, Francois Mitterand, uomo nel quale, come vedremo, Renaud, pur restando su posizione ben più radicali, ripone una grande stima. Il resto dell’album ripiega sull’intimista trattando con grandissima sensibilità il tema della compagna incinta (En cloque), o con un’irresistibile mix di tenerezza e buffoneria il rapporto con la figlia (Morgane de toi); il tono generale è comunque meno aggressivo, e lo sfondo non è più ristretto alla sola periferia popolata di delinquenti « fino alla nascita Lolita il mio interesse era puntato esclusivamente su chi viveva male, dopo si è allargato a chiunque viva »
Mistral gagnant del 1985 è un grandissimo successo commerciale. Essendo peraltro una chiara sintesi delle varie anime di Renaud e presentando una veste sonora veramente curata e nell’aria del tempo, è anche considerato dall’autore -me lo ha confidato lui stesso- il proprio capolavoro. Effettivamente il mélange violento, tenero, politico, personale, ridanciano ed emotivo giunge a uno dei suoi migliori momenti di equilibrio (ma, se mi posso permettere, ancora di meglio verrà). Intanto già l’apertura è travolgente: Miss Maggie è una poetica dichiarazione d’infinito amore per l’altro sesso « Donne di mondo/o puttane -che spesso siete le stesse-/donne normali stars o qualunque/…/anche all’ultima fica/dedico questi versi/usciti dal mio disgusto degli uomini/e della loro morale guerriera/perchè nessuna donna sulla terra/sarà mai peggiore del fratello/nè più tronfia nè più disonesta/a parte… » e qui si giunge al dunque: a parte ovviamente « Madame Tatcher »; e così continua la canzone: cento sono le ragioni per preferire le donne agli uomini, tutte le donne, tranne l’ignominiosa primo ministro inglese; la donna la si ama
« …per la sua debolezza/e i suoi occhi/mentre la forza dell’uomo non stà/che nella pistola e nel cazzo/…/perchè non morirai sul fronte/perchè la vista di un’arma da fuoco/non ti fa fremere le ovaie/…/perche con un motore sotto il culo/non diventi stronza/come il povero tarato che va a schiantarsi/per un faro un po’ ammaccato/o per un dito teso/e c’è chi arriva a sparare/per difendere l’autoradio/…/perchè palestinesi e armene/testimoniano dal fondo delle fosse comuni/che il genocidio è di genere maschile/come un SS o come un torero/…/E quando arriverà l’ultima ora/l’inferno sarà popolato di cretini/che giocano a pallone o alla guerra/…/Io vorrò diventare cane/se posso restare sulla terra/e come lampione quotidiano/mi offrirò Madame Tatcher. »
La musica, ha uno squisito sapore pop e vagamente danzante, e, a un primo disattento ascolto, fa passare questo testo di canagliesca rivolta per una ballata allegra e gradevole. Molti altri -quasi tutti per la verità- gli episodi degni di nota, da Trois matelot (« tre marinai ») a P’tite conne, altra significativa riflessione sulla tossicodipendenza, questa volta, al contrario de La blanche, in un ambiente « alto » (…frequentavi un mondo/d’imbecilli mondani/in cui questa polvere immonda/si consuma al mattino/in cui i soldi autorizzano/a credersi al riparo/del tribunale/e del nostro disprezzo…) ma, pure stavolta, la tenerezza prenderà il sopravvento sul disprezzo (…piccola cogliona/su’ vai a riposare/vicino a Jim Morrison/e non lontano da me…); il disco si conclude sulla potente Fatigué, testimonianza dei momenti di stanchezza di chi cerca qualche traccia d’amore in quest’oceano di fango, in cui tutto, dall’ambiente, al lavoro, alla cultura, sembra scivolare irresistibilmente verso il peggio. Il pezzo che dà, forse, più brividi all’ascoltatore è Morts les enfants dove a uno straziante catalogo di bambini assassinati occultamente o all’aperto (dai bambini che succhiano lo straccio intriso di benzina per farsi passare la fame a Bogotà, alle vittime dell’industria di Bopale o di Seveso, ecc…, ecc…) dal nostro sistema sociale, fa contrappunto un ballo in un qualche ministero del mondo in cui « imbecilli e militari/si spartiscono la terra », e nel momento in cui il cantante, della cui sensibilità nei confronti dell’infanzia abbiamo già parlato, arriverà a riconoscere assassinato anche il bambino che portava dentro il cuore, la canzone esplode in una minacciosa e liberatoria scena di un ballo sul ministero distrutto da un’attentato giustiziere; il ritmo di valzer campestre, in leggero crescendo, crea, man mano che la dolorosa evocazione del massacro planetario dei bambini si accumula, un effetto di straniamento che moltiplica il potenziale commovente ed eversivo del pezzo.
L’album successivo Putain de camion (1988), non approfondisce discorsi sociali, anzi le canzoni su questi temi tendono ad essere ripetitive e poco centrate (Triviale poursuite, l’omaggio all’amico e collega sudafricano Clegg Jonathan…). Appena più interessante Socialiste, divertita parodia di una fervente riformista incontrata a una manifestazione che « …discuteva seria, seria con la polizia… » mentre lui si era fatto male scagliando una pietra…. Il confronto non è facile, e si concluderà con la consapevolezza di non avere nessun punto in comune; ma qui Renaud si professa per la prima volta « …nientista/anarco-mitterandista/non so se esista/ma mi eccita… ». La stima a Mitterand è però, ripetiamo, strettamente personale; il resto della classe dirigente è trattata da approfittatrice, ladra ed ambigua (« …come vuoi cambiar la vita/se ti affanni per il tuo profitto/…/non si può stare al contempo/e al forno, e al mulino… »). Gli episodi più interessanti del disco, sono comunque quelli intimisti (Il pleut, me jette pas) e una bella rievocazione e difesa della vecchia Parigi popolare, Rouge gorge, sempre più minacciata dalla speculazione edilizia, che fa del centro il luogo del commercio e del turismo, per confinare i lavoratori in Banlieu.
L’enorme successo delle vendite (circa 5 milioni di dischi) porta Renaud a riempire per alcune sere di seguito l’immenso spazio dello Zenith, totalizzando 180.000 spettatori. Anche di questo concerto vi è testimonianza registrata (e anche filmata), che però risulta molto meno interessante delle precedenti: gli arrangiamenti, meno grezzi del passato, si avvicinano a quelli dell’ultimo disco, ma il suono cristallino non riesce ad essere perfettamente riprodotto in quello spazio, si perde così un po’ di mordente musicale. Inoltre le esigenze spettacolari di un luogo con tanti spettatori tolgono centralità alle canzoni in sé (a favore di noiosissimi dialoghi con un gruppetto di spalle comiche che puzza talmente di « provato e riprovato » da risultare perfettamente stantio anche al primo ascolto); si salvano ovviamente i pezzi più ritmati, ma anche -miracolosamente- un’ispirata versione di Mistral gagnant, pianoforte e voce, breve dialogo col se stesso bambino, rievocazione del piccolo universo di consuetudini e affetti che forse è inevitabile perdere, ma che è importante non tradire.
Traduction française par Google |
Renaud : Pacifiste (pas apaisé)
La période 1983-1988
Lundi 28 juillet 2003, par Alessio Lega
La deuxième partie de l’étude monographique d’Alessio Lega sur Renaud. Le premier est ici et il a commencé comme ceci : « En plus de 25 ans (compte tenu de la date d’enregistrement de son premier LP), l’une des figures les plus intéressantes, bien que parfois controversées et contradictoires, de la chanson poétique française caractérisée par une centralité des thèmes sociaux et de révolte (si l’on pense à la génération précédente on pense aux noms universellement connus de Brassens, Brel et Ferré), il s’agit sans aucun doute de Renaud Séchan, connu simplement sous le nom de Renaud. »
Nous avons déjà parlé d’Alessio Lega, auteur-compositeur-interprète et historien de la chanson. Vous trouverez ici une belle interview réalisée par Sara Visentin.
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RENAUD : PACIFISTE (PAS APAISE)
Morgane de toi (« Amoureux de toi » 1983) n’a aucune difficulté à conquérir le TOP TEN et à s’y maintenir fermement. C’est l’album qui marque une transition dans le style de l’auteur ; tout d’abord, dès l’image de couverture, il endosse le rôle d’un père très heureux de l’être, inaugurant une nouvelle tendance dans ses chansons : l’un des interlocuteurs privilégiés devient désormais sa fille Lolita (il l’appelait exactement ça !), et cela, pour le style de Renaud, qui garde toujours en lui une pointe d’adolescence, est un véritable coup de génie : pour quelqu’un qui a toujours déclaré « dans ma tête, je continue à avoir quatorze ans », et, ajoutons-nous, bien qu’il soit un artiste qui ressent fortement le besoin d’un rapport avec les problèmes sociaux, il est par nature timide, introverti et peu enclin au métissage, l’alter ego idéal pour développer un dialogue qui, au fil des années, abordera de nombreuses questions sous un angle visuel inhabituel, c’est véritablement un enfant. Cette relation (on parle évidemment de ce qui ressort des chansons, sans rien savoir de la vie privée de l’artiste) est marquée par une série de douces contradictions : le besoin de protéger et de ne pas étouffer, le désir de transmettre une morale, mais une morale imprégné de passion libertaire, de respect de la différence, de compréhension, de pointage du doigt sur la laideur du monde et sur le caractère indispensable de se salir les mains ; tout cela inspirera une série de chansons qui représenteront désormais quelques-uns des meilleurs moments de Renaud : Morgane de toi, Il pleut, Le marchand des cailloux, C’est pas du pipeau, Lolito Lolita, Mon amoureux, jusqu’au encore l’inédit Marilou a vu le Loup.
Pour revenir à l’album dont nous avons commencé à parler, il faut tout d’abord noter que l’on se retrouve face à un travail extrêmement plus fluide et équilibré – dans les sons comme dans les contenus – que les précédents ; et en fait il est enregistré en Amérique, dans l’un des studios les plus célèbres au monde. Il s’ouvre sur une chanson dans le parfait style des Chansons des marins (les chants traditionnels des marins de Bretagne), une chanson « avec style » mais certainement pas dans une intention parodique ; au-delà de quelques apartés ironiques, il y a en effet un bel air héroïque (« …Dès que le vent soufflera/Je repartira… »).
La deuxième chanson Deuxième génération capture parfaitement la description de la vie sordide d’un immigré de deuxième génération, l’histoire de quelqu’un qui (comme le dit Renaud en présentant la chanson en concert) « à force de vivre une vie de chien est contraint de devenir loup ». Slimane est, une fois de plus, un adolescent privé de toute possibilité d’épanouissement par les faits et son environnement, et qui vit à la dérive dans une ruine sombre et répétitive. (« J’ai rien à gagner, rien à perdre / Même pas la vie / J’aime que la mort dans cette vie d’merde / J’aime c’qu’est cassé / J’aime c’qu’est détruit J’aime surtout tout c’qui vous fait peur /La douleur et la nuit. ») Encore une composition sèche avec une bonne dose d’ironie noire et de respect de la vie, qui, même au milieu de la boue, trouve ses codes de poésie. En outre, une réflexion grandiose sur l’étranger, fils d’étrangers, né en terre étrangère – précisément la deuxième génération du titre – qui ne peut même pas entretenir une relation avec une racine à laquelle il n’a jamais été lié, et pour cette raison ressent le nostalgie poignante de ne pas essayer comme le petit oiseau né en cage qui rêve du ciel
« Des fois, j’me dis qu’à 3000 bornes de ma cité, y’a un pays
Que j’connaîtrai sûr’ment jamais, qu’là-bas non plus, je s’rai personne
Alors, pour m’sentir appartenir à un peuple, à une patrie
J’porte autour de mon cou sur mon cuir le keffieh noir et blanc et gris
Je m’suis inventé des frangins, des amis qui crèvent aussi »
Encore une mention pour Déserteur, mi-hommage, mi-parodie de la célèbre chanson chef-d’œuvre de Boris Vian ; structuré ainsi, sous la forme d’une réponse épistolaire à la fatidique carte postale d’appel, le texte est démystifiant à plusieurs niveaux : pour le protagoniste qui, décidément moins héroïque que son noble prédécesseur, a pris sa retraite, pour éviter le service militaire, pour une ferme en Ardèche, et vit en confectionnant des colliers et en cultivant de l’herbe avec un groupe « d’anarchistes », et quand « Quand les russes, les ricains / F’ront péter la planète / Moi, j’aurai l’air malin / Avec ma bicyclette », cela ne signifie pas que l’aversion, nous dirions presque physique, pour l’armée est diminuée (« Y sont nuls, y sont moches / Et pi, ils sont teigneux / Maint’nant j’vais t’dire pourquoi / J’veux jamais être comme eux. »). La conclusion est également démystifiante : une invitation à dîner pour le président pour fumer un joint et discuter sereinement du sujet ; cette offre relaxante n’est pas seulement un gadget comique. Le président de la République française à cette époque était François Mitterrand, un homme en qui, comme nous le verrons, Renaud, tout en restant sur une position beaucoup plus radicale, accordait une grande estime. Le reste de l’album retombe sur l’intime, abordant avec beaucoup de sensibilité le thème de la compagne enceinte (En cloque), ou la relation avec la fille (Morgane de toi) avec un irrésistible mélange de tendresse et de bouffonnerie ; le ton général est cependant moins agressif, et le décor ne se limite plus aux banlieues peuplées de criminels « jusqu’à la naissance de Lolita mon intérêt s’est porté exclusivement sur ceux qui vivaient mal, puis il s’est élargi à tous ceux qui vivaient ».
Mistral gagnant de 1985 est un immense succès commercial. De plus, étant une synthèse claire des différentes âmes de Renaud et présentant un son véritablement raffiné et dans l’air du temps, il est également considéré par l’auteur – il me l’a lui-même confié – comme son propre chef-d’œuvre. En effet, le mélange violent, tendre, politique, personnel, joyeux et émotionnel atteint l’un de ses meilleurs moments d’équilibre (mais, si je puis dire, des choses encore meilleures viendront). Pendant ce temps, l’ouverture est déjà bouleversante : Miss Maggie est une déclaration poétique d’amour infini pour le sexe opposé (« Femmes du monde ou bien putains, qui, bien souvent, êtes les mêmes / Femmes normales, stars ou boudins. femelles en tout genre, je vous aime / Même à la dernière des connes, je veux dédier ces quelques vers / Issus de mon dégoût des hommes et de leur morale guerrière Car aucune femme sur la planète, n’s’ra jamais plus con que son frère / Ni plus fière ni plus malhonnête. à part, peut-être… » et ici on arrive au fait : à part « Madame Thatcher » évidemment ; et ainsi la chanson continue : il y a cent raisons de préférer les femmes aux hommes, toutes les femmes, à l’exception de l’ignominieux Premier ministre anglais ; tu aimes une femme
« Femme je t’aime, surtout, enfin pour ta faiblesse et pour tes yeux / Quand la force de l’homme ne tient que dans son flingue ou dans sa queue/ Parce’ que la vue d’une arme à feu fait pas frissonner tes ovaires / Pour un phare un peu amoché ou pour un doigt tendu bien haut / Y’en a qui vont jusqu’à flinguer pour sauver leur autoradio / Palestiniens et Arméniens témoignent du fond de leurs tombeaux / Qu’un génocide c’est masculin comme un SS, un torero /Et quand viendra l’heure dernière, l’enfer s’ra peuplé de crétins / Jouant au foot ou à la guerre, à celui qui pisse le plus loin
Moi je me changerai en chien si je peux rester la Terre / Et comme réverbère quotidien, je m’offrirai Madame Thatcher »
La musique a une saveur pop exquise et vaguement dansante, et, dès la première écoute inattentive, fait passer ce texte de révolte canaille pour une ballade joyeuse et agréable. Bien d’autres – presque tous à vrai dire – sont des épisodes remarquables, de Trois matelots à P’tite conne, autre réflexion significative sur la toxicomanie, cette fois, contrairement à La blanche, dans un environnement élevé (… Tu fréquentais un monde / d’imbéciles mondains / Où cette poudre immonde / se consomme au matin / Où le fric autorise / à se croire à l’abri / Et de la cour d’assises / et de notre mépris…) Mais, une fois de plus, la tendresse l’emportera sur le mépris (… P’tite conne / allez, repose-toi / Tout près de Morrison / et pas trop loin de moi…) L’album se termine sur le puissant Fatigué, témoignage des moments de lassitude de ceux qui cherchent quelque trace d’amour dans cet océan de boue, dans lequel tout, de l’environnement, au travail, à la culture, semble glisser irrésistiblement vers le pire. Le morceau qui donne peut-être le plus de frissons à l’auditeur est Morts les enfants, où un catalogue déchirant d’enfants assassinés en secret ou en plein air (des enfants qui sucent des chiffons imbibés d’essence pour soulager la faim à Bogota, aux victimes de l’industrie de Bopale ou Seveso, etc…, etc…) de notre système social, est un contrepoint à une danse dans quelque ministère du monde où « imbéciles et soldats/divisent la terre », et au moment où le chanteur, dont nous avons déjà parlé de la sensibilité envers l’enfance, en vient à reconnaître que l’enfant qu’il portait dans son cœur a également été assassiné, la chanson explose dans une scène menaçante et libératrice de danse sur le ministère, détruit par une attaque d’obus ; le rythme de la valse country, en léger crescendo, crée, à mesure que s’accumule l’évocation douloureuse du massacre planétaire des enfants, un effet d’éloignement qui multiplie le potentiel émouvant et subversif de la pièce.
L’album suivant Putain de camion (1988), n’aborde pas les questions de société, en effet les chansons sur ces thèmes ont tendance à être répétitives et peu ciblées (Triviale poursuite, l’hommage à son ami et collègue sud-africain Clegg, Jonathan…). La plus intéressante, Socialiste, est une parodie amusante d’un fervent réformiste rencontré lors d’une manifestation qui se disputait sérieusement avec la police alors qu’il s’était blessé en jetant une pierre ; la comparaison n’est pas facile et se terminera sans point commun, mais ici Renaud se déclare pour la première fois « rien-du-toutiste / anarcho-mitterrandiste / je ne sais pas s’il existe / mais ça m’excite ». L’estime pour le président est, nous le répétons, strictement personnelle, le reste de la classe dirigeante est traité comme des profiteurs, des voleurs et des ambivalents (… Comment tu veux changer la vie / Si tu balises pour ton bien / On peut pas être à la fois / Un mouton et un mutin…) Les épisodes les plus intéressants de l’album sont cependant les épisodes intimistes (Il pleut, Me jette pas) et une belle reconstitution et défense du vieux Paris populaire, Rouge gorge, de plus en plus menacée par la spéculation immobilière, qui fait du centre le lieu de commerce et de tourisme, pour confiner les travailleurs à la banlieue.
L’énorme succès commercial (environ 5 millions de disques) amène Renaud à remplir l’immense espace du Zénith quelques soirs de suite, totalisant 180 000 spectateurs. Il existe également des preuves enregistrées (et filmées) de ce concert, qui est cependant bien moins intéressant que les précédents : les arrangements, moins brouillons que par le passé, sont proches de ceux du dernier album, mais le son cristallin ne peut être parfaitement reproduit dans cet espace, une certaine touche musicale est ainsi perdue. De plus, les besoins spectaculaires d’un lieu avec de nombreux spectateurs enlèvent la centralité des chansons elles-mêmes (au profit de dialogues très ennuyeux avec un petit groupe de comédiens qui sentent tellement « l’essayé » qu’ils sont parfaitement ringards même à la première écoute). Sont évidemment conservés les morceaux les plus rythmés, mais aussi – miraculeusement – une version inspirée de Mistral gagnant, piano et voix, un bref dialogue avec lui-même enfant, une reconstitution du petit univers d’habitudes et d’affections qu’il est peut-être inévitable de perdre, mais qu’il est important de ne pas trahir.
Source : SguardoMobile